Il Flamenco


Quando si parla di “Flamenco”, comunemente, si tende a pensare ad uno spettacolo di musica spagnola, con un chitarrista, un cantante, una ballerina con una rosa tra i capelli e un’ampia gonna e magari un ballerino che ci sorprende con la ritmica dei piedi e la sua potenza fisica. In realtà non è semplicemente questo: ci troviamo di fronte a qualcosa di più complesso, ad una vera e propria cultura che ha dato vita ad una forma di arte molto vasta e antica, di cui non è facile trovare documenti scritti. La maggior parte delle informazioni sono giunte fino ai giorni nostri grazie ad una tradizione prevalentemente orale.

Se volessimo racchiudere in una definizione la parola flamenco, potremmo dire che:

“Il Flamenco è l’insieme delle forme espressive proprie della tradizione

musicale e coreutica gitano-andalusa”

Non sono sicuramente sufficienti due righe per raccontare questo mondo: bisogna tenere presenti tutte le innumerevoli teorie che tentano di far rientrare il flamenco in dei canoni, e al tempo stesso è necessario analizzare il patrimonio culturale della terra andalusa.

Dove nasce

Vediamo innanzitutto dove si colloca geograficamente la culla del flamenco: l’Andalucia è una regione spagnola che si trova a sud della penisola iberica. E’ un ponte di unione tra due continenti, Africa e Europa, e un punto d’incontro tra l’oceano Atlantico e il Mar Mediterraneo.

Un po’ di storia

Una delle prime cosa da tenere in considerazione per quanto riguarda la storia di questa regione, è la conquista della penisola Iberica da parte degli Arabi nel 711 d.C: quasi otto secoli di dominazione che vide come capitali, tra le altre, le città di Cordoba e Granada. In tal modo il Sud, l’Andalucia, divenne il centro del potere e della cultura Araba. E’ proprio durante questo periodo che il canto dei Moriscos, con i suoi lamenti e con le sue variazioni nelle intonazioni vocali, iniziò ad intrecciarsi ed a diluirsi con le musiche popolari andaluse.

Successivamente, intorno al 1500, un altro popolo giunse in Andalucia e contribuì alla nascita del Flamenco come noi lo conosciamo oggi: il popolo gitano. Ci sono diverse teorie sulla provenienza del popolo gitano: tra le più diffuse c’è chi lo vorrebbe proveniente dall’India, qualcun altro dall’Egitto. In ogni caso non importa se i gitani arrivassero dal Nord o dal Sud, quello che interessa è che riuscirono ad impastare in modo fluido le loro tradizioni con quelle delle popolazioni che incontravano dando vita a forme artistiche sempre nuove.

Il Flamenco, come è arrivato ai giorni nostri, è quindi figlio di tutte queste fusioni, mutazioni e movimenti.

Per questi motivi si può dire che il Flamenco non è solo Arabo, non è solo Gitano ma sicuramente il Flamenco è Andaluso!!

L’origine della parola

Per quanto riguarda invece la parola Flamenco, essa appare per la prima volta tra la fine del 1700 e gli inizi del 1800. Sul significato di questo termine esistono diverse interpretazioni. I gitani, ad esempio, venivano chiamati flamencos, perché si credeva erroneamente che essi provenissero dai Paesi Bassi (Fiamminghi). Altre interpretazioni trovano dei legami con la traduzione letterale di flamenco dallo spagnolo, che significa “fenicottero”. Un’altra teoria accosterebbe il termine flamencos alla gente malavitosa che faceva uso di un grosso coltello proveniente dalle Fiandre. Spavaldi, arroganti, presuntuosi, focosi, sono cosi definiti i gitani a partire dalla fine del 1700. Flamenco potrebbe inoltre provenire da Flamancia, Flama, Llama e quindi fiamma: sarebbe quindi un modo di definire il temperamento dei gitani e della loro arte. Un’altra interpretazione collega la parola Flamencos a “felah-mengu”, ovvero, dall’arabo, contadino fuggito, riferito ai gitani che si rifugiarono nei monti per sfuggire a svariate persecuzioni. E’ risaputo che i gitani, furono un popolo in continuo movimento, e vennero scacciati da tutti i paesi per il loro modo di vivere.

In ogni caso al giorno d’oggi sappiamo che parlando di Flamenco ci si riferisce a questo mondo che stiamo cercando di raccontare.

Addentriamoci in questa cultura

Il Flamenco, inteso come espressione artistica e culturale, nasce come canto, Cante Jondo. Questo modo di cantare colpisce per la sua carica emozionale e per la sua visceralità espressiva.  Racconta di contadini andalusi poveri e sfruttati, di gitani erranti, di persecuzioni, di torture. E’ sicuramente un cante pieno di sofferenza, sentimento che sta alla base della cultura flamenca.

Si racconta che durante le persecuzioni, ai gitani veniva imposto di abbandonare tutti gli usi e i costumi, pena il taglio delle orecchie. E’ questo il motivo per cui nel flamenco si sentono quei tipici lamenti (ahy… ahy…).

Nei testi (letras) , ci sono dei riferimenti costanti alle tradizioni, alle credenze, ai valori della vita, al pianto, alla sofferenza dell’emarginazione, all’esaltazione della razza gitana e alla diffidenza e all’avversione per i non-gitani (payos), al carcere, alla tristezza, alla fame, al malessere esistenziale, all’amore inteso come sofferenza. Infatti, proprio l’amore è visto come sofferenza, non solo quando non viene ricambiato e per questo sfocia in maledizione, ma perché la persona “amata” è spesso vista come il carceriere della persona che “ama”. Il cante flamenco parla inoltre della famiglia come una protezione, della ricchezza che fa diventare l’uomo meno generoso; è  proprio la generosità che viene intesa come l’elemento che determina il valore di una persona.

Siamo circa nel 1840, il flamenco non è ancora esploso; è solo ancora uno stile di vita. Non ci sono ancora gli artisti; ci si ritrova nelle case, con pochi intimi, soprattutto parenti.

Poi l’aristocrazia Spagnola incominciò ad interessarsi a questo stile di vita, a questo nuovo modo di “fare musica”.

Da questo momento in poi, si cominciano a vedere, sempre più spesso, gitani che animano, con la loro arte, le feste dei nobili.

La sempre crescente richiesta di esibizioni a pagamento, andò di pari passo con la professionalizzazione degli interpreti gitani, che trovarono così un modo per vivere e per riscattarsi dall’ emarginazione.

Nascono cosi i cafés cantantes,  locali dove si può assistere a esibizioni di flamenco. Inizia L’età d’oro del flamenco: da questo momento il Flamenco smette di essere qualcosa di occulto. Diventa un’arte a pagamento, disponibile per un pubblico sempre più interessato. Da ora in avanti, il flamenco inizia a penetrare nella società spagnola.

Sempre più persone si interessano al flamenco e anche i payos, i non-gitani, iniziano a cimentarsi come interpreti di flamenco.

E’ un’ulteriore rivoluzione: si arricchiscono le varie forme di canto e si sviluppa il ballo e l’accompagnamento musicale. Si arricchiscono stili già esistenti come soleà e siguiriya e nascono nuovi stili come alegria e buleria. Si “afflamencano” alcuni canti folklorici come fandangos, sevillanas, farruca, che costituiscono il repertorio soprattutto dei payos che diventano artisti flamenchi.

Il cantaor che più degli altri arricchì il suo repertorio fu Silverio Franconetti: di origini Italiane e quindi payo!

Fu proprio Silverio, con il suo Cafè, a creare i primi artisti flamenchi della storia.

A lui Garcia Lorca dedicò alcune righe all’interno del “Poema del Cante Jondo”, dove il cante di Silverio viene descritto come “il perfetto equilibrio tra il miele Italiano e il limone Andaluso”. Proprio da questa frase deriva il nome della nostra associazione, come omaggio al grande Silverio Franconetti.

In questa fase viene adottata la chitarra, con la sola funzione di accompagnamento; poi all’inizio del 900, svilupperà la sua identità come strumento solista grazie ad artisti come Rafael Marin, Ramon Montoya e Luis Molina.

Infine il baile raggiunge la sua piena evoluzione e prende il sopravvento sul cante, essendo l’elemento più apprezzato e richiesto dal pubblico eterogeneo dei cafès cantantes.

I piccoli e angusti spazi dei cafes cantantes diventano così palcoscenici ampi e sonori, favorendo in tal modo la ritmica dei piedi e le forme di coreografia.

Il baile inizia a variare, ad articolarsi in base allo stile maschile, caratterizzato dalla maestria dei piedi, e allo stile femminile, caratterizzato invece dai movimenti ampi delle braccia e della gonna.

Si diversifica anche in base alla distinzione tra genere festoso, serio, intimo .

Il Flamenco passa così, da canto intimo e personale riservato a pochi intimi, a spettacolo che riempie i teatri di tutto il mondo. Numerosi sono gli artisti che hanno contribuito a queste mutazioni. Si va dai già citati  Silverio Franconetti, Rafael Marin, Ramon Montoya e Luis Molina ai più recenti Camarón de la Isla (cantaor), Paco de Lucia (guitarrista), Cristina Hoyos (bailaora) Antonio Gadés (bailaor), Tomatito (guitarrista), Eva la Yerbabuena (bailaora), Belén Maya (bailaora) etc.

Ancora oggi l’evoluzione di quest’arte, non conosce pause.

Il Flamenco Oggi

La profondità del Flamenco inteso non solo come arte, ma anche come cultura, ha avuto un riconoscimento di tutto rispetto: il 16 novembre 2010, l’UNESCO, riunito a Nairobi in Kenia, ha inserito il Flamenco nel Patrimonio Culturale Immateriale dell’Umanità.

Il flamenco è dunque universale,  perché è espressione di tutti i sentimenti dell’essere umano. Dall’amore alla solitudine, dalla morte al dolore, dalla spensieratezza all’allegria. Il flamenco rappresenta quindi lo stato dell’animo umano. Da qui la sua affinità con l’umanità intera.
Questo riconoscimento ufficiale come patrimonio dell’Umanità è un orgoglio per tutti coloro che sentono il flamenco come una forma di vita e non solo come musica e danza. Per tutte le persone che vivono nella culla del flamenco, l’Andalusia, e per le quali il flamenco rappresenta la propria identità. Inoltre è un riconoscimento dedicato a tutti i Grandi Artisti del Flamenco, quelli che continuano a donarci la loro arte e quelli che la loro arte ce l’hanno lasciata in eredità. E’ grazie a loro se oggi il flamenco è arrivato ad essere questa straordinaria forma d’arte, grande e universale.